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Ovidio


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brano
 
Livio
Ab urbe condita II, 23
 
originale
 
[23] Sed et bellum Volscum imminebat et ciuitas secum ipsa discors intestino inter patres plebemque flagrabat odio, maxime propter nexos ob aes alienum. Fremebant se, foris pro libertate et imperio dimicantes, domi a ciuibus captos et oppressos esse, tutioremque in bello quam in pace et inter hostes quam inter ciues libertatem plebis esse; inuidiamque eam sua sponte gliscentem insignis unius calamitas accendit. Magno natu quidam cum omnium malorum suorum insignibus se in forum proiecit. Obsita erat squalore uestis, foedior corporis habitus pallore ac macie perempti; ad hoc promissa barba et capilli efferauerant speciem oris. Noscitabatur tamen in tanta deformitate, et ordines duxisse aiebant, aliaque militiae decora uolgo miserantes eum iactabant; ipse testes honestarum aliquot locis pugnarum cicatrices aduerso pectore ostentabat. Sciscitantibus unde ille habitus, unde deformitas, cum circumfusa turba esset prope in contionis modum, Sabino bello ait se militantem, quia propter populationes agri non fructu modo caruerit, sed uilla incensa fuerit, direpta omnia, pecora abacta, tributum iniquo suo tempore imperatum, aes alienum fecisse. Id cumulatum usuris primo se agro paterno auitoque exuisse, deinde fortunis aliis; postremo uelut tabem peruenisse ad corpus; ductum se ab creditore non in seruitium, sed in ergastulum et carnificinam esse. Inde ostentare tergum foedum recentibus uestigiis uerberum. Ad haec uisa auditaque clamor ingens oritur. Non iam foro se tumultus tenet, sed passim totam urbem peruadit. Nexi, uincti solutique, se undique in publicum proripiunt, implorant Quiritium fidem. Nullo loco deest seditionis uoluntarius comes; multis passim agminibus per omnes uias cum clamore in forum curritur. Magno cum periculo suo qui forte patrum in foro erant in eam turbam inciderunt; nec temperatum manibus foret, ni propere consules, P. Seruilius et Ap. Claudius, ad comprimendam seditionem interuenissent. At in eos multitudo uersa ostentare uincula sua deformitatemque aliam. Haec se meritos dicere, exprobrantes suam quisque alius alibi militiam; postulare multo minaciter magis quam suppliciter ut senatum uocarent; curiamque ipsi futuri arbitri moderatoresque publici consilii circumsistunt. Pauci admodum patrum, quos casus obtulerat, contracti ab consulibus; ceteros metus non curia modo sed etiam foro arcebat, nec agi quicquam per infrequentiam poterat senatus. Tum uero eludi atque extrahi se multitudo putare, et patrum qui abessent, non casu, non metu, sed impediendae rei causa abesse, et consules ipsos tergiuersari, nec dubie ludibrio esse miserias suas. Iam prope erat ut ne consulum quidem maiestas coerceret iras hominum, cum incerti morando an ueniendo plus periculi contraherent, tandem in senatum ueniunt. Frequentique tandem curia non modo inter patres sed ne inter consules quidem ipsos satis conueniebat. Appius, uehementis ingenii uir, imperio consulari rem agendam censebat; uno aut altero arrepto, quieturos alios: Seruilius, lenibus remediis aptior, concitatos animos flecti quam frangi putabat cum tutius tum facilius esse.
 
traduzione
 
23 Mentre la guerra coi Volsci era alle porte, a Roma infuriava lo scontro intestino tra le classi: patrizi e plebei si trovavano ai ferri corti e la causa prima era rappresentata dagli schiavi per debiti. Questi i termini della loro protesta: mentre prestavano servizio militare attivo per lo Stato, in patria erano oppressi e fatti schiavi; i plebei si sentivano pi? sicuri in guerra che in pace, pi? liberi tra i nemici che tra i concittadini. Il malcontento si stava gi? spontaneamente diffondendo, quando un episodio sconcertante fece traboccare il vaso. Un uomo gi? piuttosto attempato e segnato dalle molte sofferenze irruppe nel foro. Era vestito di stracci lerci. Fisicamente stava ancora peggio: pallido e smunto come un cadavere e con barba e capelli incolti che gli davano un'aria selvaggia. Bench? sfigurato, la gente lo riconosceva: correva voce che fosse stato un ufficiale superiore e quelli che lo commiseravano gli attribuivano anche altri onori militari; lui stesso, a riprova della sua onesta militanza in varie battaglie, mostrava le ferite riportate in pieno petto. Quando gli chiesero come mai fosse cos? mal ridotto e sfigurato - nel frattempo l'assembramento di gente aveva assunto le proporzioni di un'assemblea - egli rispose che, durante la sua militanza nella guerra sabina, i nemici non si eran limitati a razziargli il raccolto, ma gli avevano anche incendiato la fattoria e portato via il bestiame; poi, nel pieno del suo rovescio, erano arrivate le tasse e si era cos? coperto di debiti. Il resto lo avevan fatto gli interessi da pagare sui debiti contratti: aveva prima perso il podere appartenuto a suo padre e a suo nonno, quindi il resto dei beni e infine, espandendosi al corpo come un'infezione, il suo creditore lo aveva costretto non alla schiavit?, ma alla prigione e alla camera di tortura. Dicendo questo, mostr? agli astanti la schiena orrendamente segnata da ferite recenti. Tale vista, unita a quanto appena sentito, fu salutata da un coro di voci sgomente e da un'agitazione collettiva che non si limit? soltanto al foro ma si espanse a macchia d'olio in tutti i quartieri della citt?. I debitori, sia quelli gi? fatti schiavi sia quelli ancora liberi, sciamano da ogni parte per le strade, implorano la protezione dei Quiriti e in ogni angolo trovano volontari pronti a unirsi a loro. Da ogni parte, urlando, si corre a gruppi verso il foro. Fu un bel rischio per quei senatori che, trovandosi casualmente in zona, finirono nel pieno della mischia. E la situazione non sarebbe tornata sotto controllo, se i consoli Publio Servilio e Appio Claudio non fossero intervenuti a sedare la sommossa. I dimostranti si girarono allora verso di loro e cominciarono a mostrare catene e altre orrende mutilazioni, gridando che quella era la ricompensa alle campagne cui ciascuno di essi aveva preso parte nel tale e nel talaltro paese. Reclamarono, con un tono che aveva pi? della minaccia che della supplica, la convocazione del senato e circondarono la curia per controllare e regolare dipersona le deliberazioni ufficiali. I consoli misero insieme giusto quei pochi senatori che casualmente erano l? intorno. Gli altri erano terrorizzati all'idea non solo di entrare nella curia, ma anche nel foro, e il senato non poteva fare nulla per l'insufficienza numerica dei presenti. Allora i dimostranti cominciarono a credere che li stessero prendendo in giro e cercassero di guadagnare tempo: pensavano che l'assenza dei senatori non fosse dovuta al puro caso o al panico, ma a una precisa volont? ostruzionistica, ed erano certi, vedendo che i senatori menavano il can per l'aia, che ci si stesse prendendo gioco della loro miseranda condizione. Quando ormai sembrava che anche l'autorit? consolare non avesse pi? alcun potere coercitivo su quella massa di gente imbestialita, ecco che finalmente arrivarono quei senatori rosi dal dubbio se si rischiasse di pi? standosene al coperto o comparendo in senato. Raggiunto cos? il numero legale dei presenti, n? i senatori n? tantomeno i consoli riuscivano a mettersi d'accordo su una soluzione possibile. Appio, che aveva un carattere impulsivo, era dell'opinione di risolvere la cosa con l'impiego dell'autorit? consolare: con un paio di arresti, gli altri si sarebbero calmati. Servilio, invece, pi? incline ad adottare misure di compromesso, era dell'opinione che fosse pi? sicuro, oltre che pi? semplice, assecondare la rabbia dei dimostranti piuttosto che ricorrere alla repressione.
 

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